Il rosario civile – come lo chiamano qui – viene sgranato sotto al sole del primo giorno di primavera. La madonnina sorveglia una piazza Duomo stracolma. I 1.069 nomi vengono letti a gruppi di dieci da rappresentanti delle istituzioni, amici e parenti. Si rinnova la liturgia consolidata – ma quanto mai attuale – della giornata in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa ogni anno da Libera e Avviso pubblico.
Non c’è la precisione dei numeri, ma che siano 50 o 70mila, poco importa. Conta piuttosto la massa critica della folla che ha attraversato il centro di Milano martedì mattina. E conta soprattutto il messaggio.
La giornata inizia in corso di Porta Venezia, all’incrocio con via Palestro, teatro della strage di trent’anni fa, quando il 27 luglio 1993 un’autobomba di cosa nostra spense le vite di cinque persone. Anche per questo, ma anche per i dieci anni dalla cittadinanza onoraria postuma a Lea Garofalo, Milano è stata scelta per le celebrazioni nazionali di quest’anno. E da via Palestro il lungo serpente di bandiere, striscioni, canti e balli arriva ai piedi della cattedrale, guidato da oltre 500 familiari delle vittime. Non solo italiane, ma anche da Centro e Sudamerica. A testimoniare che la peste mafiosa – per citare don Luigi Ciotti, presidente e fondatore di Libera – non guarda in faccia i confini.
E poi ci sono i giovani. Tante, tantissime le scolaresche che hanno preso parte al corteo da tutta Italia. Perché sono le nuove generazioni a dover tenere viva la memoria di ciò che è stato e di chi non c’è più.