“Per il controllo dell’Arpa programmato per il giorno in cui è avvenuto l’incendio ero tranquillo. Fosse stato per me, avrebbero potuto farlo anche due mesi prima”. Queste le parole di Vincenzo Bertè, a processo per traffico di rifiuti, riciclaggio e reati fiscali in merito al rogo del deposito di via Fermi a Mortara, insieme ad Andrea Biani, accusato anche di incendio doloso, e Vincenzo Ascrizzi, quest’ultimo accusato soltanto di riciclaggio. Il titolare della Eredi Bertè ha preso la parola in aula per rispondere alle domande del suo avvocato, del pm Paolo Mazza e delle parti civili.
Nodo principale della questione era il controllo dell’Arpa programmato per il 6 settembre 2017, giorno in cui scoppiò l’incendio. Un controllo originariamente fissato a luglio, ma rinviato perché Vincenzo Bertè fu ricoverato in ospedale a Mede. Un ricovero senza particolari patologie, concordato per il tramite di un amico allo scopo di far saltare la visita dell’Arpa secondo la testimonianza dell’ex moglie, Sabrina Zambelli. Un ricovero imposto da un esperto diabetologo a seguito di un picco glicemico secondo quanto raccontato da Vincenzo Berté al collegio dei giudici. “Avevo proposto ad Arpa di venire in azienda anche in mia assenza – ha raccontato l’imputato – ma preferirono spostare l’appuntamento a settembre”.
Bertè ha affermato di sentirsi tranquillo in merito alla visita dell’Arpa. “Sapevo – ha detto – di essere fuori limite per i volumi, ma sulla quantità di rifiuti presenti nel deposito ritenevo di essere in regola”. Il pm gli ha fatto notare che il geologo incaricato dal tribunale ha stimato la presenza di 17.000 metri cubi di rifiuti, tre volte il consentito. L’imprenditore ha risposto facendo un distinguo: l’area di messa in riserva, dove venivano collocati i rifiuti non ancora trattati, aveva un limite di 9.000 metri cubi, ma non c’era nessun limite per alcune tipologie di rifiuti una volta che venivano selezionati e differenziati.
Secondo Bertè, quindi, la quantità eccedente era giustificabile. “Mi aspettavo – ha riferito – una sanzione per l’altezza eccessiva, con conseguente divieto di ricevere in deposito ulteriori rifiuti per 90 giorni durante i quali avrei dovuto mettermi in regola”. Una versione differente da quanto affermato da altri testimoni, tra cui l’ex moglie, i quali prevedevano che, in seguito al controllo Arpa, la Provincia avrebbe revocato l’autorizzazione ambientale per le gravi inadempienze con conseguente blocco dell’azienda.
L’incendio, secondo la tesi dell’accusa, sarebbe stato il modo per evitare il controllo e incamerare i soldi dell’assicurazione. Un controllo che, però, Bertè sostiene di non aver temuto: “Avrei pagato la sanzione – ha ribadito – e nei 90 giorni seguenti avrei risolto la situazione, al massimo avrei richiesto una proroga. Non ho ammazzato nessuno – ha ripetuto più volte – stavo solo lavorando”.