Quanti rifiuti c’erano nel deposito della Eredi Bertè di Mortara al momento dell’incendio del settembre 2017? Secondo la perizia del geologo agli atti del processo in corso al tribunale di Pavia, il cumulo era stimabile in 17.000 metri cubi, ben oltre i limiti consentiti. Su questo tema il titolare dell’azienda, ora fallita, Vincenzo Bertè, durante la sua audizione in aula non ha fornito un numero preciso, ma ha aggiunto un elemento importante.
Secondo un’indagine ambientale da lui stesso commissionata, il 90% dei rifiuti è rimasto incombusto. Gran parte del materiale (come ad esempio gli inerti), pur interessato dalle fiamme, non si sarebbe completamente distrutto. Se ciò fosse vero, dato che la bonifica non è mai partita e tutto è ancora lì dov’era, basterebbe per assurdo pesare e misurare la volumetria di quello che è rimasto in via Fermi per ricavare la quantità presente al momento dell’incendio. Vincenzo Bertè si riteneva in regola, ma ha comunque raccontato che in quel periodo in deposito stazionava un volume importante di rifiuti.
Secondo la testimonianza dell’ex moglie, Sabrina Zambelli, perché l’azienda era da tempo in difficoltà economiche e non riusciva a pagare gli impianti dove si andavano a conferire i rifiuti. Secondo Bertè, l’accumulo si era originariamente formato con la crisi dell’edilizia, che rendeva difficoltosa la rivendita degli inerti riciclati, ma ebbe poi un’accelerazione nella primavera-estate 2017. Due gli avvenimenti. Il 23 maggio andò a fuoco il deposito di rifiuti Aboneco di Parona. A luglio, invece, il termovalorizzatore di Parona fu coinvolto in un’inchiesta su un presunto traffico di rifiuti non conformi dalla Campania al nord Italia.
In un’audizione di Arpa in commissione regionale, venne spiegato che era impossibile stabilire se quei rifiuti fossero stati bruciati effettivamente a Parona, ma le indagini provocarono dei rallentamenti nell’attività dell’impianto. Bertè ha raccontato di essersi trovato di fronte alla richiesta del Clir, che allora raccoglieva i rifiuti in Lomellina, di accogliere nel suo deposito parte del materiale che, in quei mesi, Aboneco e il termovalorizzatore non potevano ricevere.
Il 2017 fu un anno molto particolare: in Lombardia si verificarono 23 incendi di depositi di rifiuti, (tra accidentali, dolosi e senza una causa ufficialmente riconosciuta), secondo quanto riportato da un’indagine dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università degli Studi di Milano commissionato dalla Regione. Un’escalation che nel dossier venne definita anomala, a prescindere dalle cause, ancora oggi per la maggior parte ignote. A ogni incendio, si poneva il problema di trovare un posto di smaltimento alternativo. Quello alla Bertè fu il 17esimo della lista.
Un incendio accidentale, secondo Vincenzo Bertè, che riteneva di poter comunque gestire gli aumentati ingressi di rifiuti nel suo deposito derivanti dall’emergenza che si era venuta a creare dopo i fatti di Parona e che, per questo, nei mesi precedenti al rogo aveva ingaggiato personale extra. Un incendio provocato volontariamente, per porre fine a una situazione insostenibile che sarebbe inevitabilmente venuta alla luce con il controllo Arpa, secondo invece la testimonianza dell’ex moglie.